BO (storia vera)

Il nido, l’urna, le mani


La vita, le sue finalità
Imperscrutabili.
Colora la membrana
Il rosa intenso
Della carne.
Traspaiono
Sottili vie
E liquide nervature
Azzurrine,
madrepora immota
sopra un fondale chiaro.
Prosegue
La vestizione
Piccole penne
Protettive,
si accresce la forma,
l’occhio sagace
osserva la nutrice,
l’anomalia
all’orizzonte,
contenuta.



 La ricerca del nome è complessa, come lo è la sua radice o la stesura delle lettere che lo compongono,  due letterine sognanti che veleggiano nell’etere,  sognate da una mente apparentemente dotata di poca fantasia.

Bo, sta a significare Beau, alla francese, tradotto,   Bello,  o Boh,  tradotto e interpretato,  non so,  chi sono,  chi sei,  che cosa stai inventando?  Il mio nome,  la rappresentazione allegorica della mia anima? In nomen omen  sostenevano gli antichi,  speranzosi che,  conferito un nome altisonante,   sarebbe potuto corrispondere  un destino altrettanto aulico, o generoso o proficuo.
Boh, dico io, non so cosa sia frullato nella mente delle due ideatrici,  due pulzelle anfibie, no androgine,  no, proprio femmine anche se un po’ aliene a causa della fisicità rarefatta.  Spigolosa, nordica nei colori,  velata e svelata e rivelata e ideata da stranieri sul pianeta.
Comunque, a parte tutte le speculazioni metafisiche che possiate oltraggiosamente architettare,  io sono un passero.   Si, un passero qualunque,  l’uomo grigio delle vostre strade potrebbe essere un bel punto di paragone.
Per voi  umani  i passeri  sono tutti uguali, maschietti più marroncini, colorati di un castano caldo e dolce,  femminucce, come sempre in natura,  ad eccezione delle bipedi  che forse alla Madre non appartengono ,  più sobrie,  discrete,  impercettibili per ovvie ragioni di tutela della prole.
Sono un giovane passero scampato ad una sorte impietosa, non ne conosco la ragione, misteriosa alquanto, voi lo chiamate karma o fato. Io ritengo questa mia fortuna essere parte di un intreccio incantato di eventi, accompagnato da una musicalità arcana, deliziosa ad ascoltarsi,  benevolo nell’essere raccontato, indecifrabile il suo compimento a venire
Devo arginare la tendenza a smarrirmi nel bosco magico delle idee e delle loro imperscrutabili tracce e narrarvi la mia storia con semplicità.  Qualità questa che caratterizza la liturgia frugale della nostra esistenza volatile in tutti i suoi aspetti.
Ho memoria di una caduta libera, un salto nel vuoto, un tuffo nell’infinito.  Ho toccato la soffice terra sottostante il nido affondando simile a una nuvola che, sfiorato l’orizzonte, si nasconde dietro le quinte di un pensiero grazioso.
Librandomi,  sfera rosea e trasparente,   sono atterrato, la mia vita neo natale inabissata in un nulla senza tempo.  Avrei potuto accedere a celle infinitesimali nelle quali riporre atomi e cellule e la loro requie e il loro tempo accoglienti.  Ma così non è stato.  Una mano mi ha raccolto, più minuscolo di una noce trasparente , remora aliena,  rosseggiante la carne implume,  visibile l’intrico dei vasi sanguigni e il loro percorso ineluttabile.

Sono stato portato con prontezza presso uno studio veterinario accolto da due pulzelle attente e visionarie, professionali  nel guardare oltre l’impotenza dell’apatia, al di là della concettualità.

“ non ha neppure un giorno, è appena uscito dall’uovo, non sa nulla del mondo”.    La mia tenacia  è diventata la loro tenacia:  embrionali stati d’animo non fraintendibili,  sospesi in una dimensione sovra razionale,  ma elargita dall’intelligenza della Terra, da Lei arricchita,  piccolo nucleo centro di un nucleo immenso, non adeguata  la nostra mente ad intenderlo.




Bo (parte due)

Sono stato nutrito con un pastoncino universale e con questo termine intendo che è adatto a nidiacei, ma non solo, creature vecchiette, malate,  malconce o cuccioli.  Tutto sta nel somministrarlo con molta convinzione,  senza dubitare della sua efficacia, senza relativismo,  ma con l’intento dell’assoluto. Per dirla in modo elementare…o la va o la spacca!
Data l’immediatezza dell’empatia instaurata  tra loro e me,  ho spalancato il becco senza che vi fosse necessità di forzarlo, un po’ perche ero affamato,  assetato,  disperato ma Irriducibile!  Un po’ perche mi sarebbe parsa una mancanza grave nei loro confronti non corrispondere, rinnegare le vibrazioni tra di noi, destate,  emanate,  e rimandate, echeggianti nel silenzio in una unitarietà irreparabile.
Così è stato.  L’esperienza più ardua è stata quella di cacciar fuori le prime piumette, poi le piccole penne, sembravo uno spolverino,  anzi uno scovolino impenitente e scanzonato. Ma ce l’abbiamo fatta, loro e io. Abbiamo collaborato bene,  con pazienza,  pervicacia,  senza scontri e senza stanchezza. Loro ce l’hanno messa tutta ma anch’io non sono stato da meno.
Alla fine ero ricoperto di un bel piumaggio discreto nella sua eleganza demodé, sembravo pronto, ma in realtà non volevo crescere, diventare grande,  non volevo imparare a becchettare da solo! Peter Pan mi cantava dentro la sua canzone malinconica,  mi irretivano il suo sorriso, lo sguardo a ritroso verso il guscio incrinato e il suo nutrimento segreto e le imbeccature piene di tenerezza..
Chi me lo faceva fare di crescere, esplorare il mondo, affinare le mie capacità,  scoprire il rischio di vivere e correrlo fino al traguardo,  percorrendo la parabola dell’esistenza.
L’ordine naturale delle cose.  Nascere,  vivere,  svanire.
Alla fine abbiamo ceduto,  tutti e tre.  Ho iniziato a becchettare,  mi hanno leggermente “trascurato”.
Primo passaggio in una grande voliera nella quale , praticando l’ arte dei primi voli e voletti,  mi si sono irrobustite le ali ,e francamente mi sono anche divertito e dopo un giusto tempo,  aperta la voliera,  ne sono uscito, svolazzando di ramo in ramo, posandomi qui e là,  ascoltando scivolare le vele dello struggimento e del distacco nella inevitabilità loro connessa.
Bo,  Beau, Boh  amore nostro.       




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