Il profumo delle foglie d’autunno

Quella mattina d'ottobre l'aria era fresca e sapeva di foglie secche e terra bagnata. A tratti il bosco celava, fra i suoi severi arbusti, piccole zone di luce: nella singolare aura che accoglie la nascita del giorno, il sole andava facendosi spazio nelle tenebre di quella macchia di terra verde, rossa e marrone che giaceva timidamente, come adagiata da mano celeste, sui colli del piccolo paese. Teresa avanzava tra le imponenti ombre degli alberi con le membra tremanti, quasi trattenendo il respiro, forte in lei il timore di danneggiare quel silenzio puro ed incantevole. La via si apriva di fronte al suo sguardo e la chiamava a sé, invitandola a proseguire il cammino; tutt'intorno la circondavano alti fusti, complici inconsapevoli di un lungo corridoio segnato dai passi di antichi spiriti. L'oscurità regnava.
Quanto amava quel bosco! Ricordava con dolcezza i lunghi pomeriggi in cui aveva vagato senza meta, semplicemente condotta lungo i sentieri dalla brezza, in estatica contemplazione delle vite leggere che, silenziosamente, abitavano quella solitaria quiete. Si ritrovava quel giorno a ripercorrere, nel mondo reale, quella stessa natura che nella notte appena trascorsa le si era presentata in veste di sogno: in quelle misteriose immagini notturne, aveva visto se stessa entrare nel bosco e, dopo aver trovato un'immensa quercia illuminata dal sole, sedere tra creature magiche che danzavano al ritmo di melodie stupefacenti, disorientanti, estranee all'orecchio umano. Non ricordava molto del loro aspetto, ma di un fatto era certa: mai aveva sentito parlare di esseri simili a quelli, nemmeno negli innumerevoli libri che aveva letto e che, durante la sua vita, l'avevano trascinata in mondi fittizi, non contaminati dalla realtà. Teresa vagava, lo sguardo accecato dalla speranza, il corpo invaso dalla paura. Gli occhi assalivano il buio nell'analisi di ogni angolo, di ogni cespo, di ogni ramo: non era forse segno di follia il ricercare nella realtà le fugaci immagini dei sogni? Infatti il bosco, piccolo ma storico orgoglio del paese, era conosciuto e frequentato da tutti gli abitanti, e nessuno aveva mai parlato della presenza di querce o di strani esseri magici: chi mai crederebbe a cose simili? Quel luogo era per tutti soltanto un semplice bosco in un semplice paese di periferia. Tuttavia, che importanza aveva tutto ciò? Teresa aveva finalmente trovato qualcosa in cui sperare, qualcosa che aveva all'improvviso annullato ogni preoccupazione e ogni suo timore, trasformando gli affanni della vita in polvere che andava disperdendosi nel vento; ecco perché, quella mattina d'ottobre, si trovava nel bosco. E a guidarla per quelle vie, un solo obiettivo nell'animo: trovare un'immensa quercia illuminata dal sole.
Si trovava in uno dei punti più alti della selva, quando ad un tratto il sentiero da lei percorso si divise: sulla sua destra, si presentava un ripido e scosceso pendio abitato da sassi e grandi alberi dall'aria severa; sulla sinistra, una stretta via erbosa invitava la visitatrice ad addentrarsi in quella strada apparentemente infinita, oscurata dalle ombre della natura. Teresa fu attirata come per incantesimo da quest'ultima, come se un'ombra misteriosa si fosse all'improvviso manifestata per indicarle il cammino da seguire; e pure le parve di sentire una strana presenza, e vederla aggirarsi tra piante e cespugli, protetta da una sottile nuvola di nebbia. Non curante dell’oscura compagnia, proseguì lentamente, calpestando le foglie sparse sull'erba: il suono che si creava ad ogni passo pareva parlare e raccontare storie di un luogo antico e selvaggio, e di vite ora dimenticate. Fu quando si trovò all'esatta metà del sentiero che Teresa iniziò a sentire, in lontananza, l'eco sottile di un canto pieno di voci. Immediatamente le tornò alla memoria il sogno: era forse la mente, nemica ingannevole dell'anima, l'artefice di quei suoni? O forse la follia, o la speranza, o l'eccitazione le creatrici di quelle fantasie che apparivano così concrete? Questi e altri quesiti senza risposta si combattevano l'un l'altro dentro alla testa di Teresa che, assordata da quelle voci interne che andavano lentamente separandosi dal suo corpo, si mise a correre velocemente: il rumore del vento sovrastava così ognuna di quelle parole vane. Quando fu prossima al centro del bosco si accorse che il canto era sempre più forte, sempre più vicino. Seguì le voci abbandonando il sentiero e addentrandosi in quella natura che, ostile alla sua volontà, la feriva con grossi tronchi taglienti e rami dalle estremità spinose. Quando il suo viso e le sue mani furono segnati da numerosi graffi e ferite, Teresa si lasciò cadere al suolo per riprendere fiato; e fu proprio in quel momento che, nell'atto di alzare lo sguardo al cielo, si presentò agli occhi un'altra sorprendente affinità tra realtà e sogno: scoprì la presenza di una striscia di luce che il sole emanava verso un punto del bosco non molto distante da quello in cui giaceva. Ancora una volta riprese il cammino. Ora la tetra ombra le si era avvicinata e le stava dinanzi, e nonostante gli oscuri misteri che essa portava con sé, Teresa seguiva la sua scia senza indugiare, tale era la fiducia che sentiva verso quell’ignoto spettro sfuggente. Dopo essere sprofondata nelle tenebre silvane, Teresa iniziò a intravedere forti luccichii tra i rami, finché la luce non divenne sempre più intensa ed abbagliante: si trovò così sulla soglia di un  luogo incantevole e sbalorditivo, una radura in cui la luce del sole viveva in ogni angolo e, prodigioso fatto, la vita si mostrava forte e vigorosa come solo accade nella calda e lieta stagione della rinascita. Il piccolo prato era circondato da alti alberi rigogliosi e verdeggianti, i fiori ostentavano la propria magnificenza e le creature boschive che abitavano quel luogo esprimevano, senza parole, armonia ed equilibrio. Lo spettro era svanito, dissolto, fuggito. Il canto era ormai prossimo. Teresa cadde a terra, sbigottita: in mezzo alla radura si trovava un’immensa quercia, e il sole, solitario nello sconfinato azzurro del cielo, la illuminava.
Avanzò lentamente, con il corpo vacillante. L’eccitazione si univa ora al terrore, dando vita a sensazioni disorientanti e stordenti. Il cuore accelerava il proprio battito, la vista si offuscava, le gambe a fatica reggevano il peso della carne, delle vesti, dell’anima. Quando fu vicina alla quercia, ne osservò a lungo la corteccia: su quella ruvida superficie fatta di forme chiare e scure, piccoli scavi e schegge, nascevano immagini narratrici di storie, portatrici di messaggi; e così la natura, la vita, l’universo parlò a Teresa, tacita e saggia uditrice di quelle parole. Il canto era più forte e potente che mai, tuttavia ancora non era possibile comprendere da dove provenissero quelle voci. Teresa ripensò al sogno, e alle magiche creature che aveva incontrato: quella che sentiva era la medesima musica, fatta di melodie, parole e suoni sconosciuti ed impenetrabili, ignoti all’intera umanità. Incedette lentamente, spingendosi oltre l’imponente tronco. Dietro alla quercia, nella parte nascosta dal fusto, scoprì la presenza di un fossato di esigua grandezza, ma dalla spaventevole profondità; a Teresa parve di trovarsi sull’orlo di un’abissale voragine. Da quella cavità, dimora di una minacciosa e sinistra tetraggine, si diffondevano le indecifrabili melodie che aveva seguito lungo il bosco e che l’avevano condotta sino a quel luogo segreto: aveva finalmente scoperto da dove proveniva il canto. Scrutò accuratamente lo scavo nel tentativo di attraversare l’oscurità e osservare l’irraggiungibile fondo: il desiderio di incontrare quegli esseri si faceva spazio prepotentemente nell’animo di Teresa, adombrando la ragione; tuttavia il manto nero che riempiva il fossato non le consentì di scavare più a fondo con la vista, bloccando così la sua curiosità. Chiuse gli occhi. Ascoltò attentamente le note che si susseguivano nell’atmosfera, finché il feroce rapimento della musica la condusse nelle remote regioni dell’incorporeo e dell’astratto. Ora capiva: ogni suono, ogni nota le erano familiari, tutto appariva limpido come il sole che brillava nel cielo, e capiva, capiva ogni parola, ogni pensiero, ogni concetto che quelle creature esprimevano nel loro canto segreto. Qualcosa, o qualcuno, la chiamava a sé dal fondo di quella fossa. Rimase a lungo immobile sull’orlo del precipizio, in bilico tra l’esistenza terrena, tangibile e precaria, e l’incertezza della fine – o forse sarebbe stato un nuovo inizio, una rinascita? – al limite della vita. Riascoltò le parole del canto. Tutto era gioia, beatitudine, pace senza tempo, assenza di caducità. Nel mondo immateriale di quell’invito regnava lo spirito benevolo del silenzio, della musica, della libertà. Avrebbe fatto del male a qualcuno? Forse. Guardò il cielo, ripensando a quella mattina d’ottobre. Aveva ormai deciso. Respirò profondamente, e abbandonò le proprie membra al vento, che l’accolse con braccia possenti e gentili. Assaporò l’aria: era fresca, sapeva di foglie secche e terra bagnata. Sorrise, mentre il suo corpo cadeva nel vuoto.




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