Rose. Lettera ad un'umana
16/11/2018
Cara te,
probabilmente non mi conosci. Ed io non
conosco te.
Ovvero, io conosco la tua storia: ma ciò solo attraverso le vicende
di una vita che a te, in un tempo non lontano, è appartenuta.
‘Appartenuta’, sì, perché quella vita
risiedeva nel corpo di una meravigliosa gatta dal manto vermiglio, e, nel
comune modo di pensare, i gatti, come tutti gli animali definiti ‘domestici’, o
meglio, come gli animali nella loro totalità, ‘appartengono’ all’uomo.
Oggetti. Pupazzi. Pura materia.
È labile il confine che separa l’amore
dalla distruzione. E quando si tratta di animali, e del loro rapporto con la
specie umana, il conflitto emerge in tutta la sua violenza.
Ho conosciuto Rose in un freddo pomeriggio
di febbraio. Mia madre è entrata nella stanza, ha appoggiato il trasportino sul
letto, ha iniziato a raccontarmi la sua storia. Una donna aveva deciso di
tenere con sé quella creatura, poi, quando l’inesorabile scorrere del tempo
aveva dato vita all’abitudine, Rose non era stata più niente.
Oggetto. Pupazzo. Pura materia.
Quando parlo di ‘attenzioni’, di affetto,
non mi riferisco ad una questione meramente sentimentale.
Anche gli animali, come noi, hanno un
corpo. E, come noi, possono sviluppare malattie. Rose aveva un problema: la
quantità di cibo che le veniva servita, seppur non eccessiva, era tale da
causare danni al suo organismo. Il corpo di Rose aveva iniziato a mutare, ma
per la donna questo non era importante: lei la nutriva, e pensava che ciò fosse
abbastanza.
Ricordo quando ho visto Rose la prima
volta. La sua testolina spuntava a fatica dal corpo pieno, mentre le zampe,
sottili ed eleganti, reggevano con difficoltà la vita di cui erano portatrici.
La sua corporatura, esile e minuta, era celata, nascosta sotto il gravoso peso
dell’indifferenza.
Indifferenza che ignora, tradisce,
abbandona.
E infine uccide.
La donna non aveva esitato a separarsi da
Rose. Aveva deciso di lasciarla. Perché? Semplicemente, non la voleva più. Era
stanca di occuparsi di lei. Era stato bello, sì, finché non aveva compreso le
difficoltà di Rose. Poi era diventata un affanno. Un dovere. Un ospite
sgradito.
Così ho incontrato Rose. Per evitare che
la donna la abbandonasse chissà dove, alcune persone avevano cercato qualcuno che
avesse la possibilità di ospitare la gatta temporaneamente. Con il desiderio, e
l’obiettivo, nel frattempo, di trovarle una futura sistemazione: una nuova casa,
dove sarebbe stata amata e accudita, e guardata con occhi diversi.
Ma non è andata così. L’indifferenza che
aveva trasformato il corpo di Rose, l’aveva reso anche più debole e fragile.
Sarebbe bastata una malattia apparentemente innocua e facilmente curabile, per
mettere a repentaglio la sua vita.
E così è stato.
Rose ha contratto un semplice raffreddore,
ed è sfociato in una forte polmonite.
Il suo organismo, così delicato, non è
stato in grado di reagire.
Nonostante le innumerevoli visite, cure,
terapie, Rose non mostrava miglioramenti. Al contrario, il suo stato di salute
peggiorava di giorno in giorno, sino a quando aveva iniziato a respirare
difficoltosamente. Apriva la bocca in cerca d’aria e, una volta trovata, deglutiva
con difficoltà. Nei suoi occhi, fatica e sofferenza si univano a uno spesso
velo di tristezza. Aveva smesso di mangiare.
La mattina di giovedì 8 marzo 2018, io e
mia madre abbiamo portato Rose dal veterinario. Avrebbe fatto un ultimo
tentativo. Tuttavia, la sera, quando siamo tornate da lei, ci è stato
comunicato che non c’era più niente da fare: se l’avessimo lasciata in quelle
condizioni, sarebbe morta durante la notte. E non sarebbe stata una fine dolce.
Sarebbe soffocata, lentamente, respiro dopo respiro.
Non abbiamo avuto scelta. Con timore,
dubbio, esitazione, abbiamo deciso che saremmo state noi a porre fine alla sua
difficile esistenza. Aveva sofferto troppo, e non meritava altro dolore.
Rose è morta la sera di quel freddo
giovedì di marzo. Per questo io, ora, mi rivolgo a te: colei che ha tenuto Rose
con sé, ha lasciato che la sua salute peggiorasse, con indifferenza, e infine
l’ha abbandonata. Quella sera, è stato il veterinario a infilare l’ago nella
sua pelle; è stato lui ad iniettare il liquido che l’avrebbe uccisa. Noi
l’abbiamo accarezzata, dolcemente, fino a che il suo respiro si è fermato.
L’abbiamo accompagnata. Eppure, ancora oggi, non posso non sentirmi colpevole
della sua morte.
Ecco il motivo per cui ti scrivo.
Per chiederti: tu… cosa avresti fatto?
Come avresti agito di fronte a quella
difficile scelta?
Di fronte al potere di decidere sulla vita
di un altro essere vivente?
Di fronte allo sguardo di Rose?
Non lo so, e non posso tentare di
immaginarmelo.
Molti, probabilmente anche tu, diranno:
era solo un gatto.
Io dico che un gatto, o qualsiasi sia il
nome dato alla particolare conformazione di una creatura, qualsiasi sia la
creatura, quella è Vita.
È Vita che scorre nelle vene, che riempie
i polmoni, che batte nel petto.
È Vita che sgorga dagli occhi, vivida
d’emozione.
È Vita, proprio come la nostra.
Ti chiederai il perché di questa lettera,
dopo tutto questo tempo.
Ti chiederai perché dovresti sentirti
coinvolta in una faccenda tanto frivola come la vita di un animale, e con che
coraggio io abbia osato mettere in discussione il tuo comportamento.
Perché?
Ecco la risposta: speranza.
Speranza che le parole di oggi possano
servire al domani.
Al tuo domani.
Al mio, al nostro, a quello di tutti gli
esseri che popolano la Terra.
Ma soprattutto, a Rose.
Alla dignità della sua nascita, della sua
vita, della sua morte.
Affinché la sua anima possa continuare a
vivere tra le nostre.
Tutto questo dolore, forse, un giorno,
potrà insegnare qualcosa.
E, forse, non ripetersi più.
Da un’umana, a un’umana

Rose. Lettera ad un'umana diSara Pievani è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.
Una lettera commovente e piena di Umanità, con la U maiuscola...vorrei che fossimo in molti, moltissimi , a pensarla così; la vita di tutti sarebbe migliore.
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