Epistola
È sordomuta
la latrice del verbo,
ombra antiquata
inconsistente.
Vagliare il cristallo
dalla carne
è compito gravoso,
non prevede l'afflizione
dell'anima
mentre relitti squamosi
porta lontano
l'orbita impassibile
di una marea ondivaga,
alla deriva
l'agonia
di corpi dalle vene
d'argento,
maciullati.
Nubi ardenti
esala
il nucleo
della Terra,
stelle fisse
damigelle
dal candore
verginale
zampillano,
stadio larvale
di antinomie simili
ad enigmi
senza soluzione.
Custodi reticenti.
Là dove si nasconde
il sole,
a occidente
di strani sogni
e binari in fuga,
al confine della memoria
di stelle cadenti,
si addensano
nubi perlacee
e vapori odorosi
del vespro d'inverno,
toccante,
nella sua algida
fierezza,
rifugio
di un canto sommesso
solitario esilio
del pensiero,
presenze animali,
ombre fugaci,
nel trasparire.
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