Il mercato
Siamo il mercato. Decisori del
mercato. Qui, come altrove, di qualsiasi mercato, dal più bieco e immorale, crudele e violento, al più
innocuo e fatuo, siamo arbitri
della compravendita, della contrattazione, di qualsiasi "cosa"
venga considerata "cosa".
Siamo responsabili anche di quella
ipotetica ignoranza, alla cui
veridicità non credo, considerata "alibi".
La nostra azione è sempre opera di una scelta. Quando ci definiamo ignoranti abbiamo svenduto anche l'ultimo brandello di dignità su cui potessimo accampare diritti.
È stata recisa la connessione
tra l'infinito vuoto e la piena
sacralità della materia, già
sconsacrata da tempo.
Il divino metafisico è misurato,
pesato, sezionato, offerto
sull'altare del mercato e della sua corruzione.
Se primitivi e antichi celebravano
divinità, propiziandone i favori,
per esorcizzare la paura
dell'ignoto e della morte, riuscendo
a connotare questa narrazione
di "senso mistico", l'uomo moderno,
spiritualmente compromesso e
impoverito, confinato nella
cella del proprio ego,
si confronta, preda di angoscia e profondo timore, con una eterna
solitudine.
Nessuna legge, giusta o ingiusta,
rigorosa o equivoca ha mai
cambiato la natura violenta e
crudele dell'essere umano. Tra
l'altro è evidente che le istituzioni
sono ben lungi dal voler seriamente
cambiare l'ordine delle cose vigente.
Efferatezze hanno luogo ovunque,
perpetrate e legalizzate, perpetuate
e legittimate da credenze e
tradizioni. La via per l'inferno è
spalancata.
Solo la scomparsa dell'artefice
può frenare, fino alla sua cessazione,
la crudeltà.
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