Credo



Instillazione di credenze

Il dramma  iniziò con il distacco dal “cammino naturale”,  si sta ancora svolgendo,  avrà una fine,  un  epilogo definitivo e non indolore.  Anche ora è doloroso,  pur attenuata la sofferenza sottile da una  anestesia prolungata,  non percettibile la sua insensatezza,  se non attraverso effetti  devastanti che raffigurano la fase terminale del processo. 
Sono la pietra miliare che indica l’abisso nel quale siamo precipitati.
….quando eravamo australopitechi,  timide creature frugivore,  prevalentemente arboricole e camminavamo proni ma regali,  quadrumani perfetti,  elastici,  agili,  forme danzanti e fuggevoli,  rapida armonia,  dotati di una eleganza austera,  funzionale,  anche se un po’ buffa,  severa forse,  sapiente  la sua grazia…
Il dramma del distacco,  ancora in fieri,  misterioso,  confinata nel campo delle ipotesi la sua datazione, ma non remotissima in confronto ai milioni di anni precedenti quella “ deviazione”,  curiose le sue cause e solo in parte allegoriche e strampalate,  quasi sempre racchiuse in una razionalità limitata e limitante,   recluse nella mente umana,  angusta, dolente, secante.
Quel dramma ha un titolo  “ Evoluzione “.
Snaturata,  veloce, troppo veloce,  perverso il ritmo cui è stata sottoposta,  vertiginoso, deprivato della possibilità di sedimentare i passaggi,  lasciandoli decantare,  sbocciare,  fiorire,  sviluppare in un percorso/ decorso  naturali lenti come il fluire del tempo e delle sue stagioni,  ere,  parabole segrete.
Condanna esecrabile:  mutilati, trasgrediti,  traditi i ritmi della Madre,  incompreso,  costretto,  soffocato  il suo Respiro, percorrente, modulato nel tempo e nello spazio della sua Coscienza dai primordi fino ad allora.  Poi, una Evoluzione contratta, come si sta contraendo il tempo,  scandito da orde incalzanti di spettri.
Ma non esiste il tempo, sostengono gli studiosi.. esiste la prigione,  irta di lunghi chiodi in cui la Madre viene  segregata,  torturata,  protratta la sua agonia fino allo spasimo,  perpetuata all’infinito.  Sua e della sua prole innocente e vulnerabile.
Da quel momento,  dalla deviazione dal cammino naturale,  nelle creature  “divenute” ominidi  è stata instillata la paura.                                                                                                                                                                             
La paura dell’ignoto,  la paura della solitudine,  la paura della morte.
Gli animali, (non noi)  hanno una paura istintiva,  sana,  captano i pericoli e,  quando possibile,  cercano di evitarli.  La loro paura non è speculativa,  E’ istinto di sopravvivenza,  puro e semplice, connesso alle radici che dipartono dalle origini.
Negli ominidi,  mutati in “umani” la paura è stata marchiata nel DNA,  quale imprescindibile elemento, oscura materia,  nasciamo con essa e con essa moriamo,  escogitando,  nel corso della vita, mille stratagemmi  per esorcizzarla.  Senza riuscirvi.
Non è la nostra anima ad avere paura,  anche se indebolita,  ipnotizzata, ibernata e in fondo anch’essa  tradita. E’ il nostro Io,  pallido simulacro,  effige spogliata di onore,  di coraggio,  priva di accortezza,di lungimiranza ,  svuotata di empatia, senza intelligenza alcuna, ad essere tormentato dalla paura e dalla sua angoscia.
Anche le divinità sono state inventate per  alleviare il peso della paura, ma questa ideazione non è stata in grado di eluderla.  La loro finalità è stata ed è il controllo.  Il controllo degli umani attraverso il suo consolidamento,  invisibile,  mellifluo,  subdolo. 
La finzione, l’illusione di un paradiso,  la minaccia di un inferno.
L’artificio.
Cova sotto le ceneri,  pronta ad esplodere.  La paura.  A trasformarsi nel suo opposto, la violenza. Eccessi.  Fino a che non perverremo alla sua radice,  al nucleo del nostro essere,  umani?  Inumani? Disumani?  Subumani?  Non avremo la possibilità di un confronto e non ce ne potremo liberare.
Potremo ricoprirla d’oro,  camuffarla,  ignorarla,  mutarla in ferocia distruttiva,  in crudeltà e sopraffazione,  ma essa sarà sempre li, in agguato,  lesta nel dilaniarci,  nel renderci mostri.
Staccati dalla Madre,  dalle nostre antiche sorelle e fratelli, ripudiati e oltraggiati compagni di vita, altro non siamo che spettri dannati,  colmi di desolazione.
E nessun sistema di credenze potrà cancellarla da nostro cuore.                                      
La paura e la sua influenza sconfinata.   



La paura del buio

Tutti o quasi abbiamo paura del buio,  noi umani,  diventati umani all’improvviso non per un atto naturale d’ amore della Madre,  ma strategicamente mutati.
Trasformazione,  mutazione,  divenuti umani,  inumani,  disumani,  progrediti,  recisa ogni congiunzione con la Madre, da fruitori equilibrati e benevoli a sfruttatori,  non senzienti,  bensì  esclusivamente “ ragionanti” per induzione esterna.  Da questo processo è nata la paura, la paura del buio.
Nel buio allignano forme temibili, scaturite da una ancestrale fantasia malata. Ominide.
L’ignoto,  il confine con l’illusione,  il declino di ogni certezza e sicurezza.
La paura della morte.  La paura della sparizione dell’io, fragile tramite tra l’anima e la realtà, cui abbiamo  conferito una importanza tanto fondamentale quanto ingannevole.  La paura dell’uomo nero, del mostro interiore che noi stessi abbiamo concepito.
Non identità.  Scomparsa.  Annientamento.  Cancellazione della memoria.  Dissoluzione dell’amore primigenio.  La paura di un dissolvimento irreparabile.
La morte.
Eppure dal buio proviene la luce. La sua genesi prende forma senza antitesi, senza scontri, senza lotta. Senza il buio non può manifestarsi la luce. Nel mezzo, la dolcezza intensa dell’ombra nella quale confluiscono il buio delle origini e la luce sua sposa, sua amante. Elementi insondabili che, per quanto la Hybris possa ardire con ogni mezzo tecnologico e strumento sofisticato e crudele rivendicazione profanare e distruggere richiederanno l’ esazione del debito accumulato . E’ altissimo, irrimediabile. L’oltraggio compiuto , simile a Chimera immersa nella sua disperazione,  chiuderà il cerchio  e colpirà al cuore  l artefice del danno.
La paura del buio,  il suo lamento o il suo compianto o il suo grido.
Il grido di Munch, impietrito in gola, mai sfuggito,  né raccolto, né accolto,  né tramandato.
E’ comune a tanti umani, è una rete nascosta da credenze, oscure e oscuranti, sempre di più e ancora e ancora, molteplici,  multimorfe, insinuanti.  Impediscono l’accesso alla fonte della sua origine, alla sua comprensione, alla sua spoliazione,  alla sua decrittazione.
Potremmo essere liberi da paura e da credenze.  Sono i volti della stessa divinità.
La paura del buio,  dell’ignoto,  della morte.
In fondo, il grande salto,  la libertà.

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Commenti

  1. siamo gli unici animali capaci di parlare e credere a cose che esistono nelle nostre fantasie: come Dio, patria, denaro, leggi..
    ci siamo associati e abbiamo creato città, regni, imperi...
    abbiamo costruito la fiducia nei soldi , nelle leggi , nella religione e ...ci siamo ritrovati schiavi di noi stessi

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