La Fenice vuole morire

Mi concedo senza tema alcuna alla Morte. Non è una resa, neppure lo sgomento  riguardo l'irrisolta questione, che sviscerarono sapienti con solenne sicumera, conferendo malsane certezze a menti che avrebbero plaudito a qualsiasi divinità,  benevola o no, pur di poter credere alla propria immortalità, teorizzando dogmi con rigida clausura e innestando codici, molto segreti, tanto da risultare irreperibili. Quindi immutabili.
Per la morte ho una vocazione intima, solitaria, la sua celebrazione avviene con liturgia non traducibile, transitoria la profusione dei suoi doni perché rinnegata,  ma ella addolcisce la pena dell'anima raminga, copiosa.
Matrice univoca, mi accoglierà,  come ogni forma vivente,  indistintamente dall'origine e dal censo, dalla specie e dal pensiero di cui fu grembo e culla l'antefatto. La morte concilia con severa maestria intenzioni, felicemente fallite con le idee che ne furono sollecite madrine e le ipotetiche azioni, conseguenza per lo più funesta a ripercuotersi a lungo e implicitamente letali.
La vita è un suo preludio, inaudito e dolente che la morte cancella.
Verrà quel tempo in cui avrà esaudito la sua funzione e troverà infine requie nell'assoluto, nel non essere.



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