La posta in gioco

Se non ti vedono, non esisti. 
Se esistessi, loro vedendoti, cesseresti di esistere.
Li vedono (gli animali, gli alberi), non li vedono. Esistono. Ma subito dopo, muoiono.
Non parliamo di amore.
Ad ogni espansione segue una contrazione. Nulla cresce Illimitatamente. In questo squilibrio,  coazione e nella sua inevitabile cessazione,  constera' la salvezza del pianeta. L'esattrice è intransigente e il debitore, finora insolvente, ma per poco. La sua flagranza, pur malalamente dissimulata, risulta deprecabile tanto per l'insolenza, quanto per la stolidita'
brutale.
Questo racconterà,  avara, la storia ad un anfiteatro deserto.
Quell'errore scopriremo,  tardivamente assaggeremo il frutto decadente della colpa, non ne faremo tesoro. Perché vana la magniloquenza. Chi assorbi', vorace, l'intendimento? Chi divoro' il senno, sapendo di fare cosa grata? Chi orchestro' il gioco e la sua trama disgrego', a malincuore,  perché ammaliato? La contenzione delle anime divenne Utopia.
Se il cuore è stato spezzato  non puoi ricomporne i frammenti. Alcuni sono schegge invisibili. Altri, spere di luce sparse ai quattro venti, irrecuperabili. 
Ognuno di essi,  dal più minuscolo al più corposo, è custode di una traccia, riverbero di chi o cosa ne fu depositario, movente, artefice.
Siamo il riflesso, nolente, del dolore, causa primaria, ragione, rifrazione,  spettro policromo.
Dovremmo essere rimedio a quella dilagante sofferenza, ma essa è infinita e noi conniventi o inadeguati, ne permettiamo la perpetuazione.

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